tra estate mediterranea ed era glaciale
A quota duemila, camminando piano su una cresta che sembra la schiena di un leviatano. Il cielo sgombro di nubi, di un azzurro vivido e bidimensionale; una brezza leggera, che però scaccia via le mosche, fa ballare ranuncoli e genziane e solleva il polline dai pini mughi. Di fronte, altera e ineluttabile, la Montagna Madre, bianca di neve e calcare: la Majella, che incombe su di noi, seppure cosÌ lontana.
Accompagnato da mio fratello Matteo, l’unico che si è prestato generosamente al faticoso compito di aiutarmi nel trasporto di equipaggiamento, acqua e vettovaglie per le quasi 72 ore da passare in alta montagna, ho comunque più di venticinque chili sulle spalle e lo zaino, che dapprima cigola, ben stretto sui fianchi, ora invece è sceso un po’, aggrappandosi alla schiena come una scimmia, spezzandomi il fiato.

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